L'Inquisizione nell'Italia moderna by Giovanni Romeo

L'Inquisizione nell'Italia moderna by Giovanni Romeo

autore:Giovanni Romeo [Romeo, G.]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Biblioteca Essenziale Laterza
editore: Editori Laterza
pubblicato: 2002-02-14T23:00:00+00:00


3. Le competenze

Nel corso del Seicento, l’organizzazione giudiziaria costruita nel tardo Cinquecento si consolida e si stabilizza anche sul piano delle competenze. Modeste concessioni ai vescovi, che si vedono restituire il delitto di rivelazione di confessione, considerato per qualche tempo una violazione dell’ortodossia, e incassano un riconoscimento vago in materia di superstizioni semplici, non modificano in modo apprezzabile un quadro fortemente sbilanciato a vantaggio degli inquisitori. Addestrati sempre meglio a cavarsela da soli, questi ultimi sanno che solo le questioni tradizionalmente più pericolose per l’ortodossia (eresia, apostasia a fide, magia diabolica e stregoneria, controllo delle comunità ebraiche e greco-ortodosse, stampa e circolazione di libri proibiti) continuano ad esigere il coinvolgimento dei cardinali della Congregazione. Inoltre, cominciano a interessarsi stabilmente di simulata santità, un delitto che, sostanzialmente sconosciuto cinquant’anni prima, entra a pieno titolo, nel corso del Seicento, tra le competenze dell’Inquisizione romana e si colloca immediatamente tra le violazioni gravi, da perseguire in stretto collegamento con le autorità centrali. Questi sviluppi maturano più o meno negli anni in cui gli inquisitori generali acquisiscono un preciso diritto di intervento nella delicata questione del riconoscimento dei nuovi culti. Tra il 1625 e il 1634 il ruolo del Sant’Ufficio nei processi di canonizzazione divenne decisivo: se non avevano la sua approvazione, potevano anche essere annullati gli atti precedentemente compiuti da qualsiasi autorità ecclesiastica.

Un certo allentamento dei controlli si registra soltanto in materia di lettura di libri proibiti. Anche se lo stato delle ricerche è lungi dall’essere soddisfacente, i ripetuti interventi con cui la Congregazione del Sant’Ufficio cerca di riportare all’ordine vescovi e inquisitori lasciano pensare che a livello locale una certa libertà di lettura si andasse consolidando. In generale, poi, si tende ad evitare l’apertura di veri e propri procedimenti per il solo possesso di libri proibiti.

Ma la più importante novità che amplia nel corso del Seicento il ventaglio di competenze dell’Inquisizione romana è l’affidamento ai suoi tribunali dei sacerdoti che adescavano penitenti mentre li confessavano. Quel delitto, che i canonisti denominavano sollicitatio ad turpia, perseguito sporadicamente in Italia da singoli giudici ecclesiastici nel corso del Cinquecento e con crescente intensità dai tribunali del Sant’Ufficio tra la fine del secolo e gli inizi del Seicento, era entrato da tempo nel mirino delle Inquisizioni iberiche, dopo una prima, limitata autorizzazione di Paolo IV. L’argomentazione che stava alla base del nuovo ampliamento di competenze non era molto diversa da quella che aveva permesso cinquant’anni prima l’avanzata inquisitoriale sul terreno dei sortilegi e delle bestemmie. Se degli ecclesiastici, che avevano tante occasioni per dedicarsi a rapporti proibiti con le donne, decidevano di farlo proprio mentre le confessavano, era lecito presupporre che avessero idee erronee sul sacramento che amministravano così disinvoltamente. Essi erano processati dall’Inquisizione, non dai superiori, per il grave sospetto d’eresia implicito nei loro comportamenti, anche quando non avevano finalità diverse dal piacere.

Il passaggio dell’adescamento in confessione dalla giurisdizione ordinaria delle autorità ecclesiastiche competenti (i tribunali vescovili per i secolari e quelli degli ordini religiosi per i regolari) alle strutture dell’Inquisizione romana fu lento, graduale.



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